Colors #3 - "Le geometrie del colore"

Lo Studio Morri Rossetti presenta la mostra Geometrie del colore, che riunisce una trentina di lavori di tre artisti italiani già ampiamente conosciuti nel sistema dell’arte contemporanea: Marco Casentini, Roberto Floreani e Nicola Felice Torcoli.

La mostra si inserisce all’interno del ciclo “Colors”, inaugurato nell’autunno 2016, dedicato alla vitalità del colore attraverso la visione di artisti contemporanei italiani e stranieri. Seguito ideale delle mostre curate nel medesimo studio negli anni passati da Silvia Fabbri, classicista ed esperta di arte contemporanea scomparsa nel 2016, il ciclo Colors, curato dalla figlia, Dafne Riva, vuole essere una testimonianza dell’apertura alla realtà dell’arte contemporanea da parte del mondo delle professioni.

Questa volta, tema dell’esposizione sono appunto le Geometrie del colore, intese come sperimentazioni sul valore formale e compositivo del colore, a prescindere dalla rappresentazione del reale, pur senza distanziarsene mai completamente. Quelle che vengono presentate dai tre artisti sono infatti opere riconducibili tutte all’ambito dell’astrattismo geometrico, nelle quali, tuttavia – seppure nelle diverse e originali declinazioni formali fornitegli da ogni artista –, le immagini del reale sembrano permanere come un lontano retaggio mnemonico.

Nei lavori di Marco Casentini (La Spezia 1961) la traccia del paesaggio urbano è sempre latente, benché i quadri siano composti unicamente da rigorosi blocchi di colore rigidamente scanditi secondo un disegno che ricorda la partitura musicale, ai quali si alternano a volte piccoli rettangoli di plexiglass colorato, come a fornire elementi di luce e di brillantezza alla composizione. A tratti, come nella recentissima mostra alla Reggia di Caserta, l’artista espande i suoi moduli colorati oltre la tela, arrivando a ricoprire pareti e pavimento dell’intero spazio espositivo, secondo una prospettiva dinamico-coloristica che sembra rimandare a un’idea di “opera d’arte universale” che ha i suoi rimandi nella lezione delle avanguardie storiche, in una “visione futurista/cubista/geometrica della realtà architettonica”, come l’ha definita lo stesso artista. Quella di Casentini è una sorta di stilizzazione del paesaggio urbano portata alla sua estrema sintesi, quasi che dello scheletro dell’architettura urbana non fosse rimasto che un rigido rincorrersi di linee, curve e geometrie di colori che ne riassumono il senso più profondo.

 

Più esplicito nel suo richiamo al paesaggio, soprattutto urbano, pur rimanendo in un ambito sostanzialmente aniconico, è invece il lavoro del pittore lombardo Nicola Felice Torcoli (Brescia 1980).

La pratica pittorica di Torcoli è del tutto originale: l’artista infatti dipinge simultaneamente su tele differenti, successivamente ne taglia ciascuna a strisce per poi ricomporle nuovamente in nuove opere, scardinando così le regole della rappresentazione tradizionale del paesaggio, e dando vita a immagini del tutto nuove e originali dal punto di vista compositivo, quasi completamente sganciate dal concetto classico di rappresentatività.

È un atto, quello di Torcoli, che ha rimanda ai processi mnemonici e al flusso di informazioni e di immagini frammentate e ricomposte, tipico dell’era digitale, ma che ha le sue radici anche nel concetto di simultaneità e deframmentazione che ha origine nell’arte del primo novecento. “L’operazione di distruggere e ricreare”, spiega l’artista, “è nella natura della materia, la base delle guerre: il conflitto è una costante nei rapporti umani e da esso scaturisce il bisogno di equilibrio”.

 

L’opera di Roberto Floreani (Venezia 1956) parte invece da premesse rigorosamente aniconiche, nelle quali a volte, tuttavia, emerge – come nel progetto dedicato alla Grande Guerra, esposto a Vicenza nel 2015 – il ricordo, nella forma di ready made, di oggetti, frammenti o simboli provenienti dalla vita reale, come in un gioco di rimandi alla nostra memoria personale e collettiva che non vogliano sentirne di star fuori dall’opera, seppure come vaga suggestione visiva o tattile.

Ma è soprattutto nel procedimento complesso, fatto di diverse stratificazioni di colore e di materia, che risiede l’originalità e la forza del lavoro di Floreani, incentrato su elementi concentrici o geometrici continuamente ripetuti, che rimandano all’idea di un ordine e di una razionalità assolute, cosmiche, rimanendo però fortemente ancorati alla materia e al tempo attraverso lo stratificarsi ripetuto e costante di terre, di pigmenti, di materiali, di colature e velature che sembrano radicare il lavoro in un ambito fortemente esperienziale, umano e terreno.

Ecco allora che, quasi a bilanciare la forte linearità e geometrizzazione dell’impianto costruttivo della composizione, la ricchezza di stratificazioni e di materiali utilizzati porta il fruitore a interrogarsi anche sul senso e sulla pervasività della nostra memoria tattile e visiva, sul trascorrere del tempo e sulla sua capacità di stratificarsi, di mescolarsi e di rinnovarsi in continuazione. L’opera dell’artista appare così sempre in equilibrio tra una dimensione fortemente mentale e geometrica, e una materiale, tattile, materica, in un gioco di rimandi e di suggestioni che pare non vedere mai prevalere né un aspetto né l’altro, ma l’armonica dialettica tra i due ambiti, pur apparentemente così distanti.