Landscape

C’è stato un momento di passaggio importante che ha segnato l’arte italiana all’inizio degli anni Novanta. Una linea che ha visto la pittura tornare centrale nel dibattito artistico, seppure con declinazioni  via via diverse e fortemente connotate dal punto di vista identitario e generazionale, ha avuto una grande eco e un forte riscontro dal punto di vista critico-teorico.

In particolare, a Milano si è vista consolidarsi una tendenza pittorica di grande forza e originalità, grazie al lavoro di alcuni artisti che, seppure con sensibilità e formazioni diverse, hanno ricominciato a ragionare sul tema del paesaggio con connotazioni fortemente contemporanee.

Tra questi, un gruppo di artisti emersi prima degli anni Duemila, più o meno ascrivibili all’esperienza in seguito denominata dalla critica e dai giornali specializzati “l’Officina milanese”, sono stati considerati dei veri capiscuola in questo senso. Alcuni degli artisti attivi a Milano in quegli anni hanno infatti contribuito a un importante rinnovamento del linguaggio pittorico, lasciando un segno profondo anche sul lavoro delle generazioni successive. Tra questi, i pittori che presentiamo in questa mostra – Aldo Damioli (1952) Giovanni Frangi (1959) e Marco Petrus (1960) – sono, per la specificità e la coerenza del loro lavoro, tra gli esponenti più significativi di questo rinnovamento linguistico e teorico.

Tema principale del loro lavoro è il ragionamento sul paesaggio, in linea con la più generale ridefinizione dei generi tradizionali della pittura (in particolare dei generi del paesaggio e del ritratto), in un contesto che si interfacciava perfettamente con il ritorno e con la ridefinizione del genere che ha permeato l’intera cultura postmoderna di quegli anni.

La riflessione sul paesaggio ha fatto parte, del resto, del più generale ritorno di interesse verso il ragionamento sul luogo, sull’habitat quotidiano, sulla perdita di identità geografica della società contemporanea, stretta tra ridefinizione urbanistica globale, riqualificazione delle periferie, gentrificazione, abolizione del senso stesso di “paesaggio” inteso in senso tradizionale, grazie alla smaterializzazione delle frontiere portato da internet e dalla globalizzazione avanzata.

In questo senso, la nuova pittura di paesaggio è diventata uno tra i temi maggiormente battuti dagli artisti italiani delle ultime generazioni. Gli artisti italiani in questi anni hanno infatti letteralmente reinventato il paesaggio italiano, con una straordinaria capacità di trasformazione poetica e simbolica: hanno creato un nuovo grand tour contemporaneo, che rilegge la contemporaneità alla luce del nostro passato, con gli strumenti della trasformazione intellettuale, visiva e alchemica del mondo che è propria della grande pittura.

Aldo Damioli ha scelto New York come simbolo estremo e altamente metaforico del paesaggio contemporaneo, giocando in maniera divertita e scanzonata, attraverso il linguaggio della tradizione pittorica del vedutismo settecentesco, sui simboli più eclatanti e stereotipati della metropoli americana. Quelle di Damioli sono preziose e seducenti vedute newyorkesi (ma in certi casi anche milanesi, parigine o di altre metropoli europee o asiatiche) che se, da una parte, sembrano avere poco a che fare con la realtà caotica e complessa delle metropoli contemporanee, al contempo ne ripetono però, fedelmente, la struttura, il profilo e la silhouette. L’effetto è di forte spiazzamento. Ed è proprio su questo spiazzamento che va a incidere Damioli, divertendosi a catturare lo spettatore tra le griglie di una perfetta costruzione pittorica. A Damioli interessa infatti, soprattutto, mettere in discussione ciò che siamo abituati quotidianamente a vedere, e il modo stesso in cui lo vediamo. La sua è una pittura fondamentalmente concettuale, che punta a spiazzare i luoghi comuni e gli stereotipi delle mille visioni del mondo contemporaneo; e per farlo l’artista usa lo stile, uno stile volutamente non contemporaneo, che mette in crisi l’intero impianto della nostra visione.

Il lavoro di Giovanni Frangi sul paesaggio si svolge invece da molti anni all’insegna di una progressiva perdita dei confini, e di una grande e felicissima libertà del colore. La raffigurazione del paesaggio è infatti diventata, per Frangi, quella del luogo della perdita e quella della libertà:  perdita di confini, di orientamento, di senso dello spazio, e libertà di muoversi liberamente, utilizzando unicamente la materia e il colore, lungo la superficie del quadro. Che raffigurino montagne, boschi, laghi o spiagge, i quadri di Frangi sono infatti uno straordinario inno alla pittura e alla sua formidabile capacità di ridefinire ogni volta da capo il suo linguaggio specifico, mescolando i riferimenti e le diverse tradizioni (dall’informale al figurativo) con grande libertà e raffinatezza compositiva e coloristica, ma anche di rinnovare e mettere in discussione la nostra personale visione del mondo.

Il lavoro di Marco Petrus è incentrato da molti anni sul paesaggio urbano, e in particolare sul paesaggio milanese. Quella dell’artista è una ricerca condotta sul filo di una sempre più marcata stilizzazione delle forme, attraverso un processo di costante sottrazione di elementi al caos cittadino, dal momento che al paesaggio reale della Milano contemporanea l’artista ha incessantemente tolto, levato, sottratto: arrivando così a rappresentare, del paesaggio, soltanto ciò che era necessario: la sottile impalcatura simbolica di cui una città è fatta e di cui si nutre giorno dopo giorno. Petrus ha ripercorso Milano con lo sguardo di chi non era interessato a coglierne che i singoli particolari, quegli angoli e quegli scorci che, nella loro asciutta e rigorosa solidità, contenevano da soli l’idea stessa della città, la sua essenza più antica e immutabile: gli angoli dei palazzi novecenteschi, le finestre allineate una sull’altra dei palazzoni anni Trenta e Quaranta, le vie di fuga dei cornicioni dei primi grattacieli italiani, con un lavoro di progressiva stilizzazione e oggettivazione del paesaggio stesso. Un lavoro sul paesaggio che è essenzialmente un lavoro di scavo sul mezzo pittorico e sulla sua capacità metamorfica e di ridefinizione della visione.