Il Brevetto Europeo Unitario: quali novità? Via libera alla riforma dei marchi
Il 15 febbraio scorso l’Italia ha approvato in esame definitivo un decreto legislativo che attua la delega di cui all’art. 4 della legge 163/2017 per l’adeguamento, il coordinamento e il raccordo della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento UE 1257/2012 per l’istituzione di una tutela brevettuale unitaria (c.d. Brevetto Europeo Unitario) e alle disposizioni dell’Accordo su un Tribunale Unificato dei Brevetti del 20 giugno 2013 (c.d. “Pacchetto Brevetti”).
Lo stesso giorno il Consiglio dei Ministri ha anche approvato, sempre in esame definitivo, un decreto legislativo che attua la nuova Direttiva UE 2015/2436 del 16 dicembre 2015 sul ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri in materia di marchi, e che prevede l’adeguamento del Codice della Proprietà Industriale alle disposizioni del Regolamento UE 2017/1001 (c.d. “Pacchetto Marchi”).
Ma la saga del Brevetto Europeo Unitario e del Tribunale Unificato, oggetto di discussioni e aspre polemiche da quasi una decina d’anni (in particolare con riferimento al regime di traduzione proposto, vale a dire inglese, francese e tedesco), non è certo finita. La loro entrata in vigore è infatti subordinata alla ratifica dell’Accordo (art. 89) da parte di almeno 13 paesi UE, inclusi i tre stati con il maggior numero di brevetti europei: vale a dire Inghilterra, Francia e Germania.
Sul Brevetto Europeo Unitario pende dunque la spada di Damocle dell’incognita Brexit. E ciò non tanto per una eventuale incompatibilità con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (dato che il c.d. Pacchetto Brevetti non è tecnicamente un atto dell’Unione Europea ma un accordo multilaterale di cooperazione rafforzata a cui hanno aderito solo alcuni paesi membri), quanto piuttosto perché Londra dovrebbe diventare (assieme a Parigi e Monaco) una delle sedi del Tribunale Unificato.
La Germania, dal canto suo, non ha ancora ratificato l’accordo istitutivo: è infatti ancora attesa la decisione della Corte Costituzionale che dovrà stabilire se il Brevetto Unitario e il relativo Tribunale siano compatibili con il diritto tedesco. Pare che lo slittamento dei tempi sia funzionale a prendere tempo rispetto alla Brexit, per capire come gestire la questione della sede di Londra. Nel frattempo, Milano si è informalmente candidata come sede alternativa.
Ma che cosa cambierebbe se entrasse in vigore il Brevetto Europeo Unitario? Al momento esiste il c.d. brevetto europeo, la cui domanda va presentata all’EPO (European Patent Office) di Berlino. Una volta concesso, il brevetto deve essere convalidato in ogni stato in cui si vuol far valere (si tratta infatti in realtà di un fascio di brevetti nazionali), mediante un processo complesso e molto costoso.
Il Brevetto Europeo Unitario, proprio come il Marchio dell’Unione Europea, consentirebbe invece di ottenere con un’unica procedura centralizzata una protezione brevettuale automaticamente uniforme in tutti i 26 paesi dell’Unione, con risparmi stimati dell’80%.
Sul fronte marchi sono invece certamente in arrivo novità importanti. Con l’attuazione del Pacchetto Marchi il Codice della Proprietà Industriale subirà infatti importanti modifiche. Tra le principali, l’abolizione del requisito della possibilità di rappresentazione grafica perché un segno possa costituire oggetto di valida registrazione (a oggi prevista dall’art. 7 del Codice della Proprietà Industriale e precedentemente anche dal Regolamento 207/2009 e dalla Direttiva 2008/95/CE). La Direttiva UE 2015/2436 e Regolamento UE 2017/1001 prevedono infatti rispettivamente agli artt. 3 e 4 che sia un segno atto a costituire un valido marchio quello “adatto ad essere rappresentato nel registro … in modo da consentire alle autorità competenti e al pubblico di determinare in modo chiaro e preciso l’oggetto della protezione garantita al loro titolare”. Teoricamente sarà dunque possibile depositare ad esempio anche i c.d. marchi olfattivi, prima sostanzialmente esclusi dalla registrabilità. Da segnalare anche l’introduzione dei marchi c.d. di certificazione, che garantiscono cioè la presenza di caratteristiche specifiche di determinati prodotti e servizi (artt. 27 e 28 della Direttiva e artt. 83 e ss. del Regolamento). Evidenziamo infine che il 27° Considerando della Direttiva e il 21° Considerando del Regolamento affermano che “L’uso di un marchio d’impresa da parte di terzi per fini di espressione artistica dovrebbe essere considerato corretto a condizione di essere al tempo stesso conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale. Inoltre, la presente direttiva [il presente regolamento] dovrebbe essere applicata[o] in modo tale da assicurare il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare della libertà di espressione”. Queste enunciazioni sembrano riprendere quanto già espresso da molti anni a livello di comunitario: vale a dire che una interpretazione troppo rigorosa del diritto dei marchi avrebbe privato l’arte contemporanea di alcuni dei suoi quadri più espressivi e che il giudizio di contraffazione deve necessariamente tenere conto (anche) della libertà artistica e di espressione (cfr. Conclusioni del 13 giugno 2002 dell’Avvocato Generale della Corte di Giustizia UE nel noto caso Arsenal). Di questi enunciati si dovrà dunque tener conto in eventuali casi di utilizzo di segni distintivi all’interno di opere d’arte [si pensi ad esempio ai lavori del writer Zevs (i cui graffiti mostrano i loghi liquefatti di brand famosi), Sylvie Fleury (Shopping Bag del 1990) o Tomoko Nagao (Leonardo da Vinci-The Last Supper with MC, Easyjet, Coca-Cola, Nutella, Esselunga, IKEA, Google and Lady Gaga del 2014].