La disciplina “cfc”: incongruenze e problemi irrisolti
Recentemente l’AIDC (associazione italiana dottori commercialisti) ha presentato una denuncia alla Commissione Europea in relazione alla disciplina nazionale delle CFC.
Prima di affrontare le questioni poste dall’AIDC, risulta opportuno evidenziare che la legge di Stabilità 2016 ha ridefinito i criteri per l’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata rilevanti per l’applicazione della disciplina CFC.
La precedente formulazione dell’articolo 167 TUIR prevedeva che: "Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreti del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti”
Il nuovo articolo 167, comma 4 prevede invece che: “ i regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori si considerano privilegiati laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia.”
A fronte di quanto sopra riportato, per determinare i paesi a fiscalità privilegiata non UE e SEE non collaborativi, è venuto meno il riferimento alla lista “Black list” del MEF.
Pertanto il criterio di carattere generale secondo cui si considerano a regime fiscale privilegiato tutti gli Stati o territori nei quali la disciplina fiscale, anche speciale, prevede un livello di tassazione nominale inferiore al 50% di quello applicabile in Italia.
Tuttavia, l’applicazione del nuovo criterio indicato determina alcune incertezze applicative.
Sul fronte interno, per il computo del tax rate nominale si deve considerare l’Ires ed eventuali addizionali, escludendo l’Irap. Sul punto l’Agenzia non si è espressa di recente e pertanto bisogna fare riferimento a quanto stabilito dalla circolare 51/E del 2010.
Sul fronte estero, il livello nominale di tassazione non è sempre lo stesso; in particolare, problemi sorgono per quegli ordinamenti che adottano un sistema di imposizione progressivo a scaglioni o che prevedano una successiva esenzione delle imposte.
Venendo alla denuncia dell’AIDC, secondo l’associazione la norma prescrive una presunzione legale relativa che determina un’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente.
Siffatta circostanza risulterebbe in contrasto con gli articoli 49 e 54 del Trattato UE, ovvero con i principi della libertà di stabilimento e quello di proporzionalità, risultando una misura eccessivamente restrittiva per il contribuente comunitario.
La normativa CFC prevede altresì la facoltà per il contribuente di presentare interpello, seppur facoltativo, per superare la presunzione prescritta dalla norma.
A tal riguardo, bisogna evidenziare che il legislatore ha raggruppato nell’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente le seguenti 4 tipologie di Interpello: ordinario (all’interno del quale è possibile un’ulteriore distinzione tra interpretativo e qualificatorio), probatorio, anti-abuso e disapplicativo.
Prima della modifica del legislatore all’interno dell’interpello disapplicativo rientrava anche quello previsto dalla disciplina CFC e dalla disciplina sulle società di comodo.
A seguito della modifica, l’interpello previsto dalla disciplina CFC è stato classificato probatorio; ciò determina che la presentazione dell’interpello non ha più natura obbligatoria, ma preventiva. Ne consegue inoltre che le eventuali risposte negative fornite dall’Amministrazione non sono impugnabili autonomamente.
Pertanto, secondo l’AIDC, la non impugnabilità dei pareri sfavorevoli alle istanze lederebbe il diritto ad un ricorso effettivo ex art.47 della CEDU.
A prescindere dall’esito della denuncia dell’AIDC, è opportuno sottolineare l’incongruenza dell’attuale disciplina con quanto indicato dall’Action 3 del progetto Beps e con la proposta di Direttiva COM (2016) 26-final (anti- abuse Directive) presentata dalla Commissione europea al Consiglio.
L’Ocse ha infatti consigliato di adottare il criterio della tassazione effettiva per localizzare i paesi a fiscalità privilegiata.
Per quanto riguarda invece la proposta della Commissione, si dovrebbero considerare privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori in cui gli utili sono soggetti a un’aliquota effettiva dell’imposta sulle società inferiore al 40% dell’aliquota effettiva che sarebbe stata applicata nell’ambito del sistema di imposizione delle società vigente nello Stato membro del contribuente e se oltre il 50% dei redditi ottenuti sono passive income o servizi infragruppo.