Legittima la retroattività della modifica dell'art. 20 TUR sul registro
La Consulta ha confermato la legittimità costituzionale della natura retroattiva dell'art. 20 DPR 131/86, così come novellato dall'art. 1 c. 87 L. 205/2017, intervento qualificato espressamente come di interpretazione autentica dalla Legge di Bilancio 2019.
Con ordinanza del 13 novembre 2019 la Commissione Tributaria Provinciale di Bologna ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale, rispettivamente:
1) dell'art. 20 DPR 131/86 (Testo Unico Imposta di Registro - TUR) nella nuova formulazione offerta dall'art. 1 c. 87 L. 205/2017 (Legge di Bilancio 2018), per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.; nonché
2) dell'art. 1 c. 1084 L. 145/2018 (Legge di Bilancio 2019), che ha riconosciuto valore di norma di interpretazione autentica al citato art. 1 c. 87 Legge di Bilancio 2018, in relazione agli “artt. 3, 81 (e 97), 101 (nonché 102 e 108), 24 Cost.”.
Sotto il primo profilo, il giudice a quo lamenta che la novella dell'art. 20 TUR (in base alla quale l'imposta di registro sconta l'applicazione “secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati […]”) avrebbe comportato un'eccessiva compressione della “possibilità di interpretare il negozio giuridico da tassare” a detrimento della capacità contributiva che, pertanto, verrebbe ad essere determinata dalla mera applicazione delle norme civilistiche volte alla valutazione dell'“atto-negozio” e non del solo “atto-documento”.
Sul punto, pronunciandosi per la manifesta infondatezza della questione di legittimità in esame, il Giudice delle leggi ha inteso richiamare il suo precedente arresto (C.Cost. 21 luglio 2020 n. 158) laddove ha escluso che la novella del citato art. 20 comporti un vulnus dei principi di capacità contributiva, eguaglianza e ragionevolezza in quanto nulla osta affinché il Legislatore possa dare una “diversa concretizzazione” dei predetti principi volta“a identificare i presupposti impositivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell'atto presentato per la registrazione”, senza che assumano rilievo eventuali elementi extratestuali. In dettaglio, con la citata sentenza del 2020 la Consulta ha sancito la natura di norma non antielusiva dell'art. 20 TUR, chiarendo definitivamente come “nell'interpretare l'atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi «extratestuali e dagli atti ad esso collegati», salvo quanto disposto dagli articoli successivi del medesimo DPR 131/86”.
Tuttavia, la vera novità della pronuncia in commento appare essere la soluzione fornita alla seconda questione formulata dalla Commissione rimettente in via subordinata (cfr. § 3.2 e ss.). Difatti, il riconoscimento della natura di “norma di interpretazione autentica” porta con sé, notoriamente, l'effetto immediato della retroattività della disposizione novellata. Ebbene, secondo il giudice a quo il censurato art. 1 c. 1084 Legge di Bilancio 2019 violerebbe tanto il principio di ragionevolezza (sotto il profilo dell'asserita mancanza di contrasto giurisprudenziale in ordine alla natura della norma, ma anche con l'assenza di “motivi imperativi di interesse generale”) quanto del principio di equilibrio di bilancio, poiché la dichiarata retroattività della disposizione avrebbe come esito la perdita, per l'Erario, di risorse “necessarie ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'Unione Europea”.
Ma la Consulta vanifica agevolmente le censure in oggetto. In ordine alla presunta lesione dell'equilibrio di bilancio, lapidariamente la Corte rappresenta come essa sia una mera asserzione e che comunque l'Amministrazione Finanziaria possa a tutt'oggi far ricorso alla disciplina dell'abuso del diritto onde procedere alla “riqualificazione in termini sostanziali di operazioni economiche complesse”.
Con maggior sforzo esplicativo, invece, in tema di presunta lesione del principio di ragionevolezza evidenzia che il recente orientamento giurisprudenziale sulla natura innovativa della disposizione in esame che, al contrario, la Legge di Bilancio 2019 ha successivamente qualificato norma di interpretazione autentica, non assume alcun rilievo ai fini della valutazione della sua tenuta costituzionale. Ciò che importa a tal proposito è piuttosto “l'intera, decennale, vicenda che ha interessato la complessa questione dell'applicazione dell'imposta di registro, caratterizzata, come questa Corte ha evidenziato nella C.Cost. 21 luglio 2020 n. 158, da uno stratificarsi di interpretazioni, che la giurisprudenza ha sviluppato anche in risposta alle varie forme in cui l'ordinamento si andava evolvendo per volontà del legislatore (che, dapprima, ha introdotto, nella disciplina dell'imposta, l'esplicito riferimento agli «effetti giuridici» dell'atto e poi, più in generale, per tutti i tributi, ha disciplinato l'abuso del diritto)”.
A ben vedere, forse ancor più degno di nota, appare l'ultimo passaggio dell'arresto in commento in cui viene stigmatizzato il richiamo all'art. 6 CEDU evidenziando che, al contrario di quanto invocato dal giudice a quo, la giurisprudenza sovranazionale riconosce alle norme convenzionali la funzione di “tutelare i diritti della persona «contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione» e non viceversa, come invece, paradossalmente, rappresentato dal rimettente”. Conclusione che non può che essere salutata con favore, laddove definitivamente smentisce le ripetute osservazioni sullo “squilibrio di bilancio”, come se l'esazione erariale legittimasse tout court il sacrificio degli interessi individuali, invero tutelati come “diritti della persona”: ciò che sarebbe espressione di una posizione “dens[a] di implicazioni dogmatiche e politiche”, contrarie ai principi tanto convenzionali quanto costituzionali.