Il regime degli onorari del consulente tecnico d'ufficio nel procedimento arbitrale
La controversa natura dell'arbitrato
L'arbitrato è un Alternative Dispute Resolution (ADR) e come tale presuppone un rapporto giuridico contrattuale tra le parti e gli arbitri.
Pertanto, pregiudiziale ad ogni procedimento arbitrale è una convenzione arbitrale, ovvero un contratto autonomo ad effetti processuali. Tale convenzione può assumere le vesti di un compromesso ex art. 807 c.p.c. o di una clausola compromissoria ex art. 808 c.p.c..
La dottrina ricostruisce diversamente la natura giuridica di tale fattispecie contrattuale: secondo l'impostazione tradizionale si tratterebbe di un contratto di mandato, mentre secondo le impostazioni più recenti, per alcuni si tratterebbe di un contratto di locatio operis, per altri di un contratto dotato di una propria tipicità (Cfr. A. Bossi, La prassi dell'arbitrato rituale, pag. 116, Giappichelli editore).
Prescindendo da tali qualificazioni, l'aspetto maggiormente controverso dell'arbitrato rituale attiene alla natura giuridica del procedimento con ogni conseguenza in ordine all'applicabilità o meno al procedimento arbitrale di schemi propri del procedimento civile ordinario.
La tesi privatistica del procedimento arbitrale
Secondo una prima tesi interpretativa, l'arbitrato rituale è un procedimento avente natura privatistica. In particolare, tale orientamento ha trovato autorevole affermazione a partire dalla nota pronuncia della Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000 n. 527, con cui i giudici di legittimità hanno riconosciuto natura di atto di autonomia privata alla pronunzia arbitrale, definendo così il procedimento arbitrale (rituale) come attinente ad un istituto ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale in quanto fondato sulla rinunzia all'azione giudiziaria.
Secondo questa impostazione, quindi, gli arbitri non svolgono una funzione sostitutiva della giurisdizione, né sono qualificabili come organi giurisdizionali dello Stato. La ricostruzione in chiave esclusivamente privatistica del lodo arbitrale (nell'arbitrato rituale) nasce principalmente dalla preoccupazione che soltanto una siffatta ricostruzione metta l'istituto a riparo dal rischio di incostituzionalità ex art. 102 Cost., così come osservato da autorevole dottrina in quanto «poiché l'arbitrato è un valore irrinunciabile della moderna esperienza giuridica, per salvarlo nella vigenza della Costituzione del 1948, occorre ricostruirlo in chiave rigorosamente privatistica».
La tesi giurisdizionale del procedimento arbitrale
L'impostazione testé richiamata è di recente stata messa in dubbio e di fatto superata dalla giurisprudenza di legittimità a partire dall'ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. Un., 25 ottobre 2013 n. 24153 .
I giudici di legittimità, con la citata ordinanza, obliterando gli argomenti accolti dalla sentenza n. 527/2000 della stessa Corte di Cassazione giungono ad affermare la natura giurisdizionale e sostitutiva dell'arbitrato rituale rispetto alla funzione del giudice ordinario.
In particolare, osservano i Giudici Supremi cha a tale conclusione non osta il disposto di cui all'art. 102 Costituzione, così come da tempo chiarito dalla stessa Corte Costituzionale a partire dalla sentenza 14 luglio 1977 n. 127, secondo cui va valorizzato il rapporto di complementarietà individuato tra il comma 1 e il comma 2 dell'art. 102, talché il monopolio della giurisdizione statale, non va inteso in senso assoluto, ma nel quadro del divieto di istituzione di giudici straordinari o speciali, ben potendo la libera scelta delle parti (intesa come uno dei modi di disporre anche in senso negativo del diritto di cui all'art. 24 Cost., comma 1, derogare al precetto contenuto nell'art. 102 Cost.. Da quanto precede, prosegue la Corte di Cassazione, «si può trarre la conclusione che come regola la funzione giurisdizionale sui diritti si esercita davanti ai giudici ordinari, essendo tuttavia concesso alle parti, nell'esercizio di una libera ed autonoma scelta, di derogare a tale regola agendo “a tutela dei propri diritti” davanti a giudici privati riconosciuti tali dalle legge in presenza di determinate garanzie».
Garanzie approntate dall'ordinamento anche alla luce dei principi e delle caratteristiche che informano il procedimento arbitrale a seguito delle riforme di cui alla L. n. 25/1994 e al D.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40:
- introduzione contro il lodo arbitrale della revocazione straordinaria e dell'opposizione di terzo, sia ordinaria che revocatoria;
- concentrazione in capo alla Corte d'Appello della competenza funzionale a conoscere dell'impugnazione per nullità;
- assimilazione in toto alla domanda giudiziale attribuita all'atto introduttivo dell'arbitrato, quanto alla prescrizione e alla trascrizione delle domande giudiziali;
- ammissibilità dell'intervento volontario di terzi nel giudizio arbitrale (art. 816-quinques c.p.c.);
- possibilità per gli arbitri di rimettere alla Corte Costituzionale una questione di legittimità costituzionale, ai sensi della l. 11 marzo 1953 n.87 (art. 819-bis, comma 1, n.3, c.p.c. ).
Tesi, quella della natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale, che trova conferma anche nella coeva sentenza C. cost., 19 luglio 2013, n. 223, ad avviso della quale «con la riforma attuata con il D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, il legislatore ha introdotto una serie di norme che confermano l'attribuzione alla giustizia arbitrale di una funzione sostitutiva pubblica».
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