L'inerzia dell'amministratore di sostegno assume valenza penale
La condotta dell’amministratore di sostegno che omette di adempiere al deposito del rendiconto finale delle sue attività integra il reato di cui all’art. 328 co. 1 c.p.
L’omissione del provvedimento di cui si sollecita la tempestiva adozione costituisce un reato di pericolo in quanto incide su beni di valore primario tutelati dall’ordinamento, nella specie da compiere per ragioni di giustizia e senza ritardo, indipendentemente dallo specifico atto e dal nocumento che possa derivarne.
La Suprema Corte ha ritenuto sussistente la fattispecie delittuosa de quo, sottolineando il carattere indebito del rifiuto da parte dell’amministratore di sostegno di compiere un atto del suo ufficio, ossia quello di “tenere regolare contabilità della sua amministrazione e renderne conto ogni anno al giudice tutelare”, come previsto dall’art. 380 c.c., espressamente richiamato dall’art. 411 c.c., disposizione che individua le “Norme applicabili all’amministrazione di sostegno”.
Si tratta di una pronuncia di assoluta novità in quanto per la prima volta la giurisprudenza di legittimità qualifica la condotta omissiva tenuta dall’amministratore di sostegno rispetto alla gestione patrimoniale svolta in favore del beneficiario quale “rifiuto d’atti d’ufficio”, superando il concetto di mera inattività.
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