Regime fiscale degli strumenti finanziari partecipativi

La riforma del diritto societario del 2003 ha disciplinato l’istituto degli strumenti finanziari partecipativi. Tali strumenti trovano frequente utilizzo nelle operazioni di ristrutturazione dei debiti contratti verso istituti di credito. Ai fini fiscali, occorre in primo luogo stabilire se gli stessi debbano essere soggetti fiscalmente al regime dei titoli azionari, delle obbligazioni o dei titoli atipici. Rilevanti sono a tal fine le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate che, sotto certi profili, travalicano il dato normativo. Inoltre, tale qualificazione deve essere coordinata con le norme fiscali che a vario titolo rinviano alla nozione di SFP come gli artt. 113 e 88 del TUIR. 

Introduzione

L’art. 2346 comma 6 c.c. prevede che una società per azioni “a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione”. Tali strumenti vengono comunemente indicati come “strumenti finanziari partecipativi” (“SFP”). La modulazione dei diritti attribuiti a tali strumenti è, nella prassi, la più varia. Gli SFP sono ormai entrati nell’uso corrente dei mercati finanziari per la raccolta di capitali passivi. Essi trovano anche frequente utilizzo nelle operazioni di ristrutturazione dei crediti come forme di pagamento delle obbligazioni del debitore. L’avvento degli SFP nel nostro ordinamento si è verificata in epoca recente, con la riforma del diritto societario portata dal DLgs. 6/2003. Tale regime si è sovrapposto ad una disciplina fiscale modellata sulla tricotomia: azione, obbligazione e titolo atipico. Il legislatore fiscale ha da quel momento iniziato un’opera di adeguamento alla realtà economica che mostra oggi alcune inadeguatezze e necessita una urgente opera di ridefinizione sistematica.

La qualificazione civilistica degli SFP tra equity e debito (cenni)

La questione della natura degli SFP va affrontata in chiave sistematica, facendo riferimento alle categorie dell’obbligazione (in specie pecuniaria) e dello strumento di partecipazione a un ente collettivo.
Molto semplificando, si può sostenere che un SFP sia assimilabile, sul piano civilistico, a un titolo di credito quando il suo adempimento costituisce un dovere per l’emittente che prescinde dal suo andamento economico – finanziario. Viceversa, gli SFP assimilabili al capitale di rischio sono quelli il cui rimborso dipende dalla situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’emittente. All’interno di questi due estremi concettuali, si colloca una vasta messe di sfumature: titoli di credito nel nominale ma il cui rendimento è condizionato all’andamento economico dell’emittente; titoli di capitale con un rendimento garantito.

Il diritto comune ha imparato a destreggiarsi dentro questa selva variegata di strumenti creati dall’autonomia privata. Se un titolo è rimborsabile in un termine nel suo valore nominale e ha rendimenti legati ai profitti dell’impresa, userà le categorie del credito pecuniario per ottenere il pagamento del nominale e quelle del diritto patrimoniale degli strumenti di capitale per sorvegliare il verificarsi della condizione (aleatoria) da cui dipende il verificarsi del rendimento. Semplificando, si potrà ricorrere agli strumenti di tutela del creditore per ottenere a tempo debito il pagamento del nominale e a quelli, ben più ellittici, di tutela del socio – spesso senza diritto di voto – per evitare comportamenti illeciti o abusivi dell’emittente in rapporto al verificarsi della condizione della produzione di utili. 

L'articolo integrale è disponibile sulla rivista bimestrale La gestione straordinaria delle imprese, edita da Eutekne S.p.A.