Tax litigation

Documenti rinvenuti dall’A.F. in una valigetta aperta senza autorizzazione: sono utilizzabili?

Il caso dedotto in giudizio

Con l'Ordinanza interlocutoria - Cass. 22 aprile 2021 n. 10664 - la Sezione Tributaria ha rimesso al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la valutazione della questione inerente all'utilizzabilità degli elementi documentali rinvenuti in sede diverifica all'interno di una valigetta aperta da un verificatore su autorizzazione proveniente dal contribuente (o da un suo rappresentante), ma in assenza della preventiva autorizzazione dell'A.G. e senza averlo prima reso edotto della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi della giustizia tributaria.

La vicenda contenziosa trae origine da una verifica fiscale nel corso della quale la GdF aveva rinvenuto documentazione extra-contabile all'interno di una valigetta di cui era stata richiesta l'apertura all'amministratore delegato della società verificata. Come si desume dall'Ordinanza, tale richiesta veniva effettuata senza la preventiva autorizzazione del P.M. o dell'A.G. prevista all'art. 52 c. 3 DPR 633/72. La società, inoltre, non era stata informata della facoltà, di cui all'art. 12 c. 2 L. 212/2000 (c.d. “Statuto dei contribuenti”), di farsi assistere da un professionista.

Al termine della verifica, dunque, l'AE ha proceduto con l'emissione di un accertamento c.d. analitico-induttivo (ex art. 39 c. 1 lett. d) DPR 600/73).

Il Giudice del gravame, in accoglimento del ricorso dell'AE, ha dichiarato legittimo l'avviso di accertamento ritenendo valida l'acquisizione e l'utilizzazione della documentazione così rinvenuta in ragione del fatto la stessa era stata consegnata dall'amministratore volontariamente e dunque senza alcuna forma di coercizione. A nulla rilevava, secondo la CTR, l'ulteriore elemento della mancata informativa riguardante la possibilità di farsi assistere da un difensore abilitato, poiché non risulterebbe dalla norma citata una specifica previsione sanzionatoria in tal senso.

Avverso tale pronunciamento la società ha dunque proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

L'Ordinanza nella Suprema Corte

Nell'Ordinanza di rimessione in commento è stata evidenziata la presenza di divergenti indirizzi giurisprudenziali riguardanti il valore da assegnare al consenso prestato dal contribuente in caso di acquisizione documentale operata senza la preventiva autorizzazione del PM o dell'AG prevista dall'art. 52 c. 3 DPR 633/72 (a cui rinvia l'art. 33 c. 1 DPR 600/73).

Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, la presenza del consenso del contribuente nei cui confronti è eseguita la verifica in assenza della necessaria autorizzazione giudiziaria sarebbe irrilevante in quanto “l'acquisizione della documentazione senza le necessarie garanzie di cui all'art. 52 c. 3 cit., comporta comunque l'inutilizzabilità”. Di conseguenza, una siffatta acquisizione documentale sarebbe illegittima e pertanto inutilizzabile (Cass. 6 giugno 2018 n. 14701).

Secondo altro indirizzo, invece, l'assenza dello strumento di garanzia (i.e. l'autorizzazione del PM o dell'AG) sarebbe sopperita dalla “collaborazione del contribuente” (o di un suo collaboratore) intesa come autorizzazione all'apertura di plichiborsecasseforti, ecc. o, in alternativa, dalla mancata contestazione (in sede di verifica) di tale irritualità (Cass. 18 febbraio 2015 n. 3204). Così opinando, dunque, verrebbe preservata l'utilizzabilità della documentazione acquisita.

Secondo i Giudici, però, aderendo a tale ultimo orientamento diventa necessario appurare, oltre alla effettiva sussistenza del consenso prestato dal titolare del diritto, che il consenso medesimo sia adeguatamente informato e libero. Esso, infatti, rappresenta il punto di bilanciamento tra diversi interessi costituzionalmente tutelati: l'interesse statale ad acquisire risorse tributarie, da un lato, e la tutela del contribuente sottoforma di libertà personale, inviolabilità del domicilio e segretezza della corrispondenza, dall'altro.

Da ciò discende, dunque, secondo la Corte, la necessità di verificare se, nel caso di specie, l'assenza della informativa prevista dall'art. 12 c. 2 Statuto dei Contribuenti possa avere inciso sulla corretta formazione del consenso in capo al contribuente.

Nell'ottica fornita dai Giudici, potrebbe dunque ritenersi che il consenso prestato dal contribuente non sia valido poiché egli non sarebbe stato adeguatamente informato della facoltà di farsi assistere e così privato della facoltà di disporre liberamente di un proprio diritto, in lesione della propria libertà di convincimento.

Viene posto in rilievo, infatti, il principio affermato in giurisprudenza (Cass. 27 febbraio 2015 n. 4066), secondo il quale gli elementi rilevanti ai fini dell'accertamento acquisiti in maniera irrituale non sono inutilizzabili in assenza di specifica previsione, salva però l'ipotesi in cui emergano questioni attinenti alla tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale come la libertà personale o del domicilio.

In ragione dei molteplici dubbi interpretativi sopra rassegnati, la Sezione tributaria ha dunque richiesto di rimettere alle Sezioni Unite le seguenti questioni di diritto:

- se in caso di apertura della valigetta reperita in sede di verifica, senza la preventiva autorizzazione prevista dall'art. 52 c. 3 DPR 633/72, tale carenza possa ritenersi sanata con il consenso prestato dal titolare del diritto;

- nel caso in cui si ritenesse “sanante” il consenso prestato, se lo stesso possa ritenersi libero e informato nel caso in cui l'AF non abbia rappresentato al contribuente la facoltà di farsi assistere da un soggetto abilitato alla difesa dinanzi agli organi della giustizia tributaria, ai sensi dell'art. 12 c. 2 Statuto dei Contribuenti.

Cass. 22 aprile 2021 n. 10664


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