Il domicilio informatico e la corretta acquisizione dei dati digitali in sede di verifica fiscale
In un'epoca in cui tutte le scritture contabili obbligatorie sono ormai tenute in formato digitale, sulla scorta di quanto disposto dall'art. 2215-bis e.e., l'avvio di una verifica fiscale è ormai caratterizzato dalla sistematica acquisizione, da parte dei militari della Guardia di finanza o dei funzionari dell'Agenzia delle entrate, di tutti i dati presenti nei computer aziendali, nel server e persino nel telefono cellulare del soggetto verificato.
Il presente articolo intende delineare gli aspetti problematici connessi all'accesso presso i locali ove viene svolta l'attività e all'acquisizione dei dati presenti nei sistemi informatizzati dell'azienda verificata. Questo perché tale acquisizione incontra limiti e garanzie imprescindibili nel caso in cui il contribuente possa far valere diritti garantiti dalla Costituzione e dal diritto internazionale. Ai fini del presente lavoro, si pone in particolare l'attenzione sui diritti connessi al domicilio informatico e alla segretezza della corrispondenza.
1. La nozione di domicilio informatico
La normativa tributaria non contiene una definizione del domicilio informatico del contribuente, né effettua un generico rinvio ad altra disciplina.
Recentemente il e.cl. "Decreto Semplificazioni" (D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120) ha reso effettivo per imprese e professionisti l' obbligo di comunicazione del domicilio informatico, ma trattasi di un richiamo non pregnante, posto che il relativo obbligo si sostanzia, secondo quanto previsto dall'art. 37 del citato decreto, nell'indicazione presso la Camera di Commercio o presso l'Ordine di appartenenza dell'indirizzo di posta elettronica certificata a decorrere dal 1 ° ottobre 2020. La nuova normativa, coordinandosi con il Codice dell'Amministrazione Digitale (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82), ricomprende nel novero del domicilio digitale anche nuovi servizi tecnologici diversi dalla PEC, ovvero i Servizi elettronici di recapito certificato (Sercq), definititi dal Regolamento (UE) 910/2014 (Regolamento eIDAS), che ancora non sono stati attuati nel nostro Paese.
L'articolo in forma integrale è disponibile sulla rivista Bollettino Tributario